Ricordo ancora il rumore dell’ago che attraversava il tessuto, le mani pazienti di mia mamma che intrecciavano fili colorati con la stessa naturalezza con cui il respiro entra ed esce dal corpo. Da bambina, osservavo quei gesti ipnotizzata: come un rito antico guardavo la lentezza e la ripetizione in un silenzio pieno di significato.
Mia mamma ha sempre ricamato, mia zia cuciva perché era sarta e mia nonna lavorava a maglia. Tre donne, tre fili diversi, che insieme hanno intrecciato una trama familiare fatta di gesti, pazienza e presenza.
Col tempo ho scoperto che quel ritmo non era soltanto un passatempo, ma una forma di meditazione, un modo per radicarmi e calmare la mente. Oggi, quando ricamo, percepisco che in ogni filo c’è molto più di una decorazione: c’è un messaggio biologico, una possibilità di trasformazione interiore.
Ed è proprio questo che ci racconta l’epigenetica: non siamo prigionieri dei geni ereditati, ma possiamo trasformare la loro espressione attraverso le esperienze e i rituali che scegliamo di vivere.
Forse anche dentro di te ci sono fili antichi che chiedono di essere ritessuti.
A volte basta un ago, un filo, un gesto lento per cominciare a trasformare la memoria, il corpo, la vita.

Epigenetica quotidiana: le esperienze che trasformano i geni
L’epigenetica studia come i nostri geni vengano modulati dall’ambiente, dalle relazioni, dalle emozioni. Non tutto è scritto nel DNA: ciò che viviamo, i contesti in cui cresciamo e persino i rituali influenzano la loro espressione.
Le ricerche mostrano che esperienze precoci e abitudini quotidiane lasciano tracce epigenetiche nel cervello e nel corpo (Meaney & Szyf, 2005). Questo significa che anche un gesto semplice, ripetuto nel tempo, può diventare un attivatore di benessere profondo.
Il ricamo come atto epigenetico
Lentezza e regolazione biologica
Attività manuali come il ricamo non hanno solo valore estetico. La ripetizione dei gesti, il ritmo lento, la concentrazione sul dettaglio attivano il sistema nervoso parasimpatico, riducendo stress e infiammazione. Studi neuroscientifici dimostrano che creare con le mani migliora la connettività cerebrale e riduce l’attivazione delle aree legate allo stress (Bolwerk et al., 2014).
Simboli che parlano al corpo
Ogni punto, ogni motivo, ogni trama è un simbolo che agisce su più livelli. Quando ricamiamo una radice, una spirale o un fiore, non stiamo semplicemente creando una figura ornamentale: stiamo attivando un linguaggio archetipico che la nostra psiche riconosce da millenni.
Le neuroscienze mostrano che il cervello non distingue nettamente tra realtà e simbolo: osservare o creare una forma attiva reti neurali legate alle emozioni, alla memoria e alla regolazione corporea. In questo senso, un ricamo non è mai “neutro”: diventa un’esperienza sensoriale che parla al sistema nervoso.

Un esempio concreto ci viene dagli antichi Navajo, popolo nativo del Nord America, che intrecciavano coperte e tappeti ricamati con motivi a spirale e a diamante. Quelle figure non erano semplici ornamenti: rappresentavano il viaggio della vita, l’armonia con la natura e l’equilibrio interiore. Il gesto del tessere era un atto sacro, capace di “riordinare” il mondo interiore di chi lo praticava. Oggi potremmo dire che era un modo per inviare al corpo un “segnale biologico”, modulando stress e resilienza attraverso simboli condivisi.
Allo stesso modo, in molte culture mediterranee le radici e i fiori ricamati sugli abiti tradizionali erano forme di protezione e benessere: portare addosso quei segni significava portare con sé forza, continuità e legami familiari.
Così, quando scegliamo un simbolo, non stiamo solo decorando un tessuto. Stiamo riscrivendo una narrazione dentro il corpo, perché il simbolo diventa un ponte tra passato e presente, tra memoria familiare e biologia. È questa la dimensione epigenetica del gesto: un filo che trasforma la materia e, insieme, la nostra stessa storia.
Un filo tra generazioni
Il ricamo porta con sé memorie antiche. Non è solo una pratica personale, ma un gesto transgenerazionale: qualcosa che ci collega a chi è venuto prima e a chi verrà dopo. Proprio come gli studi sull’epigenetica dimostrano che le esperienze di una generazione possono influenzare quelle successive (Sweatt, 2013), anche il ricamo diventa un filo vivo che attraversa le genealogie.
La mia esperienza: un’eredità che si rinnova
Sono cresciuta tra fili, aghi e trame: mia mamma, mia zia, mia nonna. Ognuna di loro, con il proprio gesto, mi ha consegnato un pezzo di identità.
Oggi il ricamo per me è rigenerativo. Ogni punto che traccio è un modo per dare forma a ciò che sento, per cucire dentro di me radici nuove.
E ciò che più mi emoziona è vedere le mie bambine, che, senza alcuna forzatura, quando mi osservano ricamare prendono ago e filo e iniziano a giocare con questa meravigliosa tradizione. È come se il gesto fosse un’eredità silenziosa che si trasmette naturalmente, un linguaggio che loro riconoscono senza bisogno di parole.

In questo senso, il ricamo diventa una pratica epigenetica familiare: un filo che non solo unisce le generazioni, ma che modula la nostra stessa biologia emotiva.
Quando il corpo ricama storie: lentezza e gesto trasformativo
Azioni come il ricamo, la scrittura a mano, la cura consapevole del dettaglio attivano il sistema nervoso parasimpatico, responsabile della rigenerazione, della calma e dell’autoguarigione. È il sistema che rallenta i battiti, abbassa la pressione, permette al corpo di rigenerarsi.
Ricerche dimostrano che attività creative lente riducono i livelli di cortisolo e aumentano la sensazione di benessere psicofisico (Kaimal et al., 2016). È in questo spazio fisiologico che l’epigenetica si fa carne: ciò che scegliamo di vivere diventa biologia, lasciando una traccia nei nostri circuiti neurochimici.

Il gesto simbolico come riscrittura
Ricamare un simbolo, seguire un pattern, costruire con pazienza una narrazione tattile diventa un rituale trasformativo. Ogni filo può raccontare qualcosa che il corpo stava aspettando di rielaborare.
Il ricamo è una forma di “scrittura senza parole”: un linguaggio simbolico che permette di risignificare memorie profonde. Come mostrano gli studi sulla neuroepigenetica (Sweatt, 2013), esperienze sensoriali e creative modulano l’espressione genica, influenzando l’umore, la resilienza e persino la risposta allo stress.
Il fare come medicina: l’arte del corpo che guarisce
Mentre la scienza conferma che ogni esperienza lascia una traccia biochimica (Meaney & Szyf, 2005), sappiamo anche che l’arte del fare — manuale, rituale, lento — è una via tangibile per riattivare la memoria corporea.
Il corpo ricorda e guarisce attraverso il gesto. Non è solo una metafora: studi di neuroscienze dimostrano che pratiche manuali e artistiche aumentano la connettività cerebrale e stimolano processi di neuroplasticità (Bolwerk et al., 2014).
È in questo spazio che nascono esperienze trasformative: quando il gesto lento si intreccia con simboli, radici e memoria, il fare diventa medicina che ricuce passato e presente.
💫 Ed è proprio sulla base di tutte queste integrazioni — tra epigenetica, neuroscienze e pratiche simboliche — che è nata la nostra Masterclass TERRA – Level 1
Il primo passo per entrare in un campo trasformativo più ampio, dove il corpo e la storia si intrecciano in esperienze guidate. Un fare che diventa medicina: lenta, paziente, profondamente radicata.

Possiamo dunque ricamare salute e memoria
Non possiamo cambiare i geni che ci sono stati donati, ma possiamo cambiare il modo in cui essi si esprimono. Il ricamo, con la sua lentezza, con il suo potere simbolico e transgenerazionale, è molto più che un’arte: è un atto biologico e spirituale.
Bibliografia scientifica integrata
- Meaney, M. J., & Szyf, M. (2005). Environmental programming of stress responses through DNA methylation.Dialogues in Clinical Neuroscience, 7(2), 103–123.
- Sweatt, J. D. (2013). The emerging field of neuroepigenetics. Neuron, 80(3), 624–632.
- Bolwerk, A., Mack-Andrick, J., Lang, F. R., Dörfler, A., & Maihöfner, C. (2014). How art changes your brain.PLOS ONE, 9(7), e101035.
- Kaimal, G., Ray, K., & Muniz, J. (2016). Reduction of cortisol levels following art making. Art Therapy, 33(2), 74–80.

