“Neurodivergenze” non è un’etichetta. È un modo di funzionare — cognitivo, emotivo, sensoriale — che appartiene a persone specifiche e che ha radici profonde nella biologia, nella storia personale e nell’ambiente in cui si cresce. Non è una moda linguistica, né un concetto da utilizzare alla leggera.

Neurodivergenze: oltre le etichette, riconoscere e abitare la propria unicità
Autismo, ADHD, plusdotazioni cognitive, alta sensibilità, disturbi specifici dell’apprendimento: non parliamo di “sfumature comuni a tutti”, ma di profili neuropsicologici distinti, che hanno bisogni, punti di forza e fatiche peculiari.
Quando ho iniziato a lavorare nell’ambito delle neurodivergenze, il termine “neurodivergenza” non era diffuso. Si parlava soprattutto di deficit, disturbi, patologie. Parole che spesso appesantivano chi già viveva la fatica quotidiana di sentirsi “diverso dagli altri”.
Oggi il linguaggio sta cambiando. Le persone chiedono di essere nominate in modo diverso: non come “sbagliate”, ma come portatrici di un funzionamento unico.
Questo non significa negare le difficoltà né semplificare: significa riconoscere. Riconoscere che ci sono modalità diverse di apprendere, sentire, relazionarsi. Riconoscere che non tutto è adattabile a un modello standard e prestabilito da linee guida.
Anche la comunità scientifica lo riconosce sempre di più. Negli ultimi dieci anni la ricerca neuroscientifica e psicologica ha mostrato come i funzionamenti neurodivergenti non siano varianti casuali, ma modi specifici e coerenti di funzionare del cervello e del sistema nervoso.
Riconoscersi per non banalizzare
Dire “siamo tutti un po’ neurodivergenti” è pericoloso, perché cancella la realtà di chi lo è davvero.
La neurodivergenza non è un tratto passeggero, né un insieme di caratteristiche “curiose” che tutti sperimentiamo a tratti. È un funzionamento strutturale, che influenza in modo concreto la vita quotidiana: a scuola, al lavoro, nelle relazioni.
Per questo riconoscersi (o riconoscere un figlio/una figlia) come neurodivergenti è un passo delicato e prezioso, in quanto:
- permette di accedere a valutazioni serie e personalizzate;
- consente di costruire strategie di vita realmente sostenibili;
- libera dal senso di colpa o di inadeguatezza, aumentando nettamente l’autostima;
Un tema che attraversa anche chi vive all’estero
In molti Paesi europei o extraeuropei la sensibilità sul tema è ancora ridotta, con poca chiarezza su diagnosi, percorsi e diritti. Qui lo smarrimento cresce: molti italiani raccontano di sentirsi invisibili e senza riferimenti, soprattutto quando si tratta di sostenere i figli a scuola. In questo senso, il linguaggio non è solo descrizione: è cura. Permette di nominare ciò che esiste, di renderlo riconoscibile e, quindi, legittimo.

Le neurodivergenze: quali sono?
Quando parliamo di neurodivergenze, non ci riferiamo mai a un concetto astratto o teorico: parliamo di persone, vite reali, modi unici di abitare il mondo. Dietro ogni profilo ci sono storie di bambini che imparano con modalità diverse, di adulti che faticano a trovare un contesto che li riconosca, di famiglie che cercano risposte. Conoscere le diverse forme di neurodivergenza significa aprire uno sguardo più ampio, capace di distinguere senza giudicare e di valorizzare senza idealizzare.
Le neurodivergenze comprendono profili diversi e complessi, che meritano di essere conosciuti con rispetto e senza semplificazioni. Secondo fonti accademiche recenti, il paradigma delle neurodivergenze include forme quali:
| Condizione | Inclusione come neurodivergenza | Fonti scientifiche / cliniche |
|---|---|---|
| Autismo (ASD) | Sempre incluso | PMC 2020, Child Mind Institute, World Economic Forum |
| ADHD | Sempre incluso | PMC 2020, Harvard Health, Frontiers in Physics 2023 |
| DSA (dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia) | Learning disorders | Child Mind Institute, World Economic Forum, PsychiatryOnline 2024 |
| DCD (Disturbo della Coordinazione Motoria / Disprassia) | Frequente inclusione | PMC 2020, World Economic Forum, The Guardian |
| DSL (Disturbi del Linguaggio) | Talvolta incluso | PMC 2020 |
| Tourette e tic | Spesso incluso | Frontiers in Physics 2023, PsychiatryOnline 2024 |
| OCD (Disturbo Ossessivo-Compulsivo) | A volte incluso | Frontiers in Physics 2023, Verywell Mind |
| Disturbi dell’umore (bipolare, ansia, ecc.) | In alcune definizioni inclusive | Frontiers in Physics 2023, Verywell Mind |
| Disabilità intellettiva / sindromi genetiche (Down, DiGeorge, ecc.) | Incluse in alcune cornici cliniche | Cleveland Clinic |
| Plusdotazione / alto potenziale / alta sensibilità | Sempre più considerate parte delle neurodivergenze | Harvard Health, Verywell Mind |
È importante ricordare che i confini non sono netti: i tassi di comorbilità sono molto elevati e impongono valutazioni cliniche accurate, basate su interviste, questionari, osservazioni e test cognitivi. Solo uno sguardo attento, professionale e rispettoso può restituire chiarezza e strumenti concreti per vivere meglio la propria unicità.
Valutazione e diagnosi: come si fa
Una valutazione accurata integra:
- Colloqui clinici e anamnesi evolutiva (famiglia, scuola, lavoro).
- Osservazioni in setting diversi (quando possibile).
- Test psicometrici (es. WISC/WAIS per i profili cognitivi; scale e interviste standardizzate per ASD/ADHD/DSA).
- Restituzione chiara, con un piano d’azione personalizzato.
Scuola e lavoro: inclusione che funziona
L’inclusione, a scuola come al lavoro, non è uno slogan ma un processo concreto fatto di piccoli gesti quotidiani che cambiano radicalmente l’esperienza di chi è neurodivergente: una consegna chiara e visiva, tempi scanditi con realismo, la possibilità di fare micro-pause senza sentirsi giudicati.
Nella mia esperienza clinica ho visto che quando un insegnante o un datore di lavoro riescono a calibrare questi aspetti, le persone non solo partecipano, ma fioriscono.
La scuola inclusiva non abbassa il livello: lo rende accessibile a tutti con modalità diverse; il lavoro inclusivo non teme la differenza, ma la riconosce come risorsa, valorizzando creatività, attenzione al dettaglio, pensiero analitico. Ciò che fa la differenza non sono i protocolli perfetti, ma la cultura dell’accoglienza: il saper guardare all’altro non per le sue fatiche, ma per la sua interezza. E allora l’inclusione diventa possibile, concreta, viva: la capacità di creare spazi in cui ciascuno possa studiare, lavorare e vivere con dignità, riconosciuto nella propria unicità.

Inclusione a scuola: non solo bisogni educativi speciali
Per troppo tempo la scuola ha guardato alla neurodivergenza con lenti esclusivamente cliniche: certificati, sigle, piani educativi. Tutto questo è importante, ma non basta.
L’inclusione che funziona nasce quando l’insegnante riesce a:
- dare consegne chiare e visive, evitando ambiguità e lunghe spiegazioni;
- scandire i tempi di lavoro, segmentando il compito in piccole parti raggiungibili;
- prevedere micro-pause per regolare l’attenzione e l’energia;
- legittimare modi diversi di apprendere, senza etichettare chi fatica come “svogliato” o “pigro”.
Una classe inclusiva non è quella che abbassa il livello, ma quella che permette a ciascuno di arrivarci con la propria modalità.
Inclusione al lavoro: dal diversity management al neurodiversity management
Anche nel mondo del lavoro, l’inclusione vera richiede un cambio di paradigma. Sempre più aziende nel mondo stanno parlando di neurodiversity hiring programs, cioè percorsi di assunzione e formazione pensati per valorizzare i talenti delle persone neurodivergenti.
Alcuni accorgimenti fanno la differenza:
- ambienti di lavoro meno caotici e più regolati dal punto di vista sensoriale;
- comunicazioni semplici, lineari e senza sovraccarichi informativi;
- possibilità di gestire pause brevi e frequenti per mantenere concentrazione ed equilibrio;
- riconoscimento delle competenze specifiche (pensiero creativo, memoria dettagliata, capacità analitiche) come risorse preziose.
Pratiche integrate per il benessere neurodivergente (link utili)
Le persone neurodivergenti vivono meglio quando viene sostenuta la regolazione del sistema nervoso attraverso le abitudini quotidiane che aiutano a stare nel corpo con maggiore equilibrio. Non si tratta solo di “strategie cognitive”, ma di pratiche semplici e ripetute che permettono al sistema nervoso di sentirsi più sicuro e meno sovraccarico.
Alcuni esempi? Un respiro profondo e consapevole ogni volta che si cambia attività, per segnalare al cervello che c’è una transizione e non un allarme; brevi pause di movimento durante lo studio o il lavoro, anche solo alzarsi e stiracchiarsi, che aiutano a scaricare l’iperattivazione; l’uso di supporti sensoriali come cuffie antirumore, coperte con peso o luci calde, che possono trasformare un contesto caotico in un luogo tollerabile. Anche la scrittura libera, il ricamo o la musica sono strumenti potenti: pratiche che integrano mente e corpo, favorendo la regolazione emotiva.
La chiave è costruire routine piccole e sostenibili, che diventino un’àncora quotidiana. Puoi approfondire in questi articoli:
- Epigenetica e scrittura autobiografica
- Ricamo, radici e benessere
- Attaccamento sicuro
- ADHD e autismo: differenze e somiglianze

✨ Tips di regolazione quotidiana
3-3-3 sensoriale. Fermati un attimo e osserva: nomina tre cose che vedi attorno a te, tre suoni che riesci a percepire e tre punti del corpo che sono in contatto con una superficie (i piedi a terra, la schiena sulla sedia, le mani sulle gambe). In meno di 90 secondi regali al tuo sistema nervoso un micro-reset che ti riporta nel presente.
Respiro 6–0–8. Inspira dolcemente contando fino a sei, resta in pausa per un istante (o due, se ti viene naturale) e lascia andare l’aria lentamente fino a otto. Ripetuto per cinque minuti, questo respiro favorisce calma, centratura e distensione del corpo.
Rituali concreti. Concludere la giornata con un piccolo gesto simbolico aiuta a creare continuità. Può essere una frase-àncora scritta su un quaderno o persino ricamata su un pezzo di stoffa: un segno tangibile che custodisce ciò che hai attraversato e rafforza la tua presenza interiore.
FAQ
La neurodivergenza è una malattia?
No. È una variazione del funzionamento neurologico. Alcune condizioni richiedono diagnosi e interventi personalizzati: inclusione e cura insieme.
Come capisco se sono neurodivergente?
Serve una valutazione professionale con test e colloqui. Le check-list online non sostituiscono la diagnosi.
Posso fare una valutazione se vivo all’estero?
Sì. Offriamo colloqui online e cerchiamo coordinamento con i professionisti del territorio in cui vivi, se questo risulta possibile.
La neurodivergenza è sempre ereditaria?
Non sempre. Ci sono fattori genetici, ma anche epigenetici e ambientali che influiscono sullo sviluppo neurologico.
Posso chiedere una valutazione anche per mio figlio/a?
Sì. È possibile effettuare valutazioni sia per adulti che per bambini, sempre con strumenti scientificamente validati e colloqui mirati.
Una diagnosi può aiutarmi nel lavoro o a scuola?
Sì. La diagnosi permette di accedere a strumenti compensativi, piani personalizzati e tutele che valorizzano le tue capacità e riducono le difficoltà.
Bibliografia essenziale
McLennan H., 2025: scoping review sulla neurodiversità. SpringerLink
Dwyer P. The Neurodiversity Approach(es), 2022. PMC
Santomauro DF et al. Lancet Psychiatry, 2025: prevalenza globale ASD. The Lancet
Steinmetz JD et al. The Lancet Neurology, 2024: carico globale condizioni neurologiche. The Lancet
Martínez S et al., 2024: sovrapposizioni/differenze ADHD-ASD (review). PMC
Al Ghamdi K et al., 2024: comorbilità ADHD in ASD (review/meta). PMC

